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La proposta di Valditara e l’ipocrisia che uccide la scuola

“Il divario di costi è un dato oggettivo e ineliminabile, e la non adeguabilità dello stipendio degli insegnanti è un dato sistemico che deriva dalla impostazione stessa del sistema contrattuale scolastico. Parlare di gabbie salariali è un errore, una metafora sbagliata sul piano tecnico e cronologico.”

Ci sono questioni in Italia che dividono e basta: la scuola è una di queste.

Nessun confronto su idee risolutive nell’interesse collettivo ma argomenti da sfruttare per un immediato posizionamento mediatico, tornaconto politico, demagogia correntizia e sparute ideologie di pensiero.

Eppure parliamo della scuola: il pilastro della nostra società, il luogo di creazione dei cittadini importante quanto la famiglia perché è lì che valori e idee si formano definendo l’umanità che sapremo esprimere ed il paese che vogliamo essere (ma noi, alla fine, chi e cosa vogliamo essere mica s’è capito?!).

Un’istituzione maltrattata da anni da tutte le parti tra banchi a rotelle, istituti rovinosi, studenti pistoleri, bambini in ipotermia, periferie degradate, sindacati barricaderi, opportunismi politici ma soprattutto luogo che mortifica il corpo docente con precariato e stipendi inadeguati al ruolo che costoro sono chiamati ad avere nella società, ai livelli più bassi d’Europa.

Che paese strano il nostro, culla della cultura che non ha cura di chi la cultura deve trasferirla alle nuove generazioni. Diviso su tutto, in cui nord-sud sono mondi diversi che nel 2023 ancora soffrono l’emigrazione interna tollerando il via vai di cercatori di lavoro nella scuola obbligati a sperimentare la lotta al risparmio con immancabile avvio dei consueti stratagemmi finalizzati ad ottenere il riavvicinamento, con tutto ciò che comporta per la gestione delle classi, la linearità dell’insegnamento, l’attaccamento tradito dei ragazzi.

Siamo il paese che per giorni ha fatto in prima pagina i conti in tasca alla bidella napoletana che ogni giorno farebbe Napoli-Milano in treno per lavorare nella scuola dove ha vinto posto perché così si risparmia. Fosse stato vero ci sarebbe stato da vergognarsi, questo andava scritto in prima pagina! Un anno di lavoro di questa ragazza sarebbe valso 2.25 anni di una collega e 320.000 km in più, 25 volte il giro del mondo! Un’ignobile pazzia mentre un’altra parte del paese teorizza il lavoro 4 giorni a settimana. Due Italie, solo che una è piena di problemi e dà fastidio dedicarle attenzione.

L’ultima fiammata l’ha provocata l’uscita del ministro Valditara: differenziamo gli stipendi dei docenti in base al luogo di insegnamento, adattandoli al costo della vita, dopo aver discusso qualche giorno prima sulla opportunità di aprire alle scuole capitali privati per raccogliere risorse altrimenti non disponibili.

“Inaccettabile”, “orrendo”, “attacco al contratto nazionale”. Solo una voce fuori dal coro, di un tecnico del mestiere, il rappresentante dei presidi che ha detto “non è una idea insensata”.

Ma perché attaccarsi e attaccare? Magari parliamone, del resto il divario di costi è un dato oggettivo e ineliminabile, e la non adeguabilità dello stipendio degli insegnanti è un dato sistemico che deriva dalla impostazione stessa del sistema contrattuale scolastico.

Parlare di gabbie salariali è un errore, è una metafora sbagliata sul piano tecnico e cronologico. Quello che al tempo venne previsto e poi superato alla fine degli anni 70 atteneva alla indicizzazione automatica dei salari per luogo, ed una volta abbandonato ha fatto sì che nel lavoro privato fosse il mercato a determinare il rapporto salario-lavoro grazie alla libertà di contrattazione.

Se un’impresa di Milano vuole offrire una paga al minimo salariale contrattuale si scontrerà con la realtà di un mercato che paga di più, e consente maggiore scelta. Non solo: nel privato la libertà di contrattazione consente la differenziazione salariale, alimentando l’innalzamento salariale assecondando le dinamiche lavoratori-imprenditori grazie alla mediazione sindacale.

Nella scuola così non è: il sistema è bloccato dalla centralità dello stato e dalla contrattazione nazionale, che è identica per tutti e non ha possibilità di differenziazione. Non c’è quindi alcuna possibilità perché vi siano effetti benefici da regole di mercato perché non esiste un mercato.

Fingere che non esista un problema e rifiutare il confronto sulla questione è un’ipocrisia che condanna a morte la scuola, stritolata fra la centralità dello stato, l’unitarietà del contratto nazionale e la carenza di risorse, fattori che impediscono oggi un ammodernamento essenziale e non differibile.

Abbiamo sotto gli occhi i difetti del sistema ma è meglio non parlarne, sia mai dovessimo rischiare di fare qualcosa di giusto e sensato, magari collaborando…

Fonte: https://www.huffingtonpost.it/

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